Luigi Pirandello: la poetica

Pubblicato da: Daniela il 20/06/2016

La visione dell’uomo e del mondo che emerge dalle sue opere affonda le radici in quella delusione storica propria di tutta un’epoca che vede crollare il sistema di valori su cui si era fondata la civiltà occidentale.

Egli visse in prima persona il disagio della modernità e la delusione per il fallimento degli ideali risorgimentali: le fedi eroiche ottocentesche (amore, patria, libertà) si erano ormai rinchiuse in se stesse.

Pirandello non ha alcuna fede alternativa, alcuna religione della famiglia (come Pascoli) o della bellezza (come D’Annunzio) cui potersi aggrappare: egli di fronte al frantumarsi di ogni valore e ogni certezza maturò la convinzione che fosse impossibile individuare nuovi valori da contrapporre ai vecchi. 

Il suo pessimismo lo portò a una concezione quasi nichilista dell’uomo e della vita (la vita è senza senso, obiettivo e valore intrinseco).

Centrale è in Pirandello, il tema dell’esclusione e dello sradicamento, cioè la riflessione sul disagio dell’uomo moderno per la perdita di valori di riferimento e sull’inevitabile spersonalizzazione indotta dalla diffusione della civiltà delle macchine che riducono l’uomo a semplice rotella di un ingranaggio che non può comprendere né tantomeno illudersi di controllare.

Il pessimismo pirandelliano andò consolidandoli nella convinzione dell’assoluta mancanza di senso della vita dell’uomo e dell’irrimediabile frantumazione della stessa identità individuale.

Tematica fondamentale in Pirandello è il cosiddetto contrasto tra vita e forma, ossia tra ciò che ciascuno di noi è veramente e ciò che la società, nelle diverse circostanze, impone all'individuo di diventare. 

Ciascuno di noi si trova costretto, per vivere, ad assumere una serie di finte "forme", che vincolano il proprio essere, ma che sono indispensabili per la vita in società. 

Paradossalmente, però, queste forme finiscono per soffocare la vita stessa e rendono impossibile vivere nel vero senso della parola. Nel momento in cui l'individuo tenta di liberarsi dalle forme e dalle maschere che il mondo gli ha imposto, finisce per apparire folle agli altri. In realtà, invece, il folle è l'unico a vivere davvero, perché ha avuto il coraggio di strapparsi di dosso le maschere che la società impone.

1) La scienza è inadeguata a cogliere la razionalità del reale e la vita (realtà) è ridotta ad un continuo fluire di attimi, ad un flusso libero ed illogico che Pirandello riprende da Bergson.

2) A questo punto si impone, ai fini della convivenza borghese, la necessità di fissare, far consistere la fluidità della vita in forme fisse: tali forme non sono altro che i ruoli che l'individuo ricopre all'interno del tessuto sociale e familiare.

Scrive Pirandello:

<<La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d'arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi. Le forme, in cui cerchiamo d'arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci creiamo, le condizioni, lo stato in cui tendiamo a stabilirci. Ma dentro di noi, il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo, componendoci una coscienza, costruendoci una personalità>> (dal Saggio dell'Umorismo).

3) Questo binomio vita-forma è avvertito dalle persone più sensibili come conflittuale; per costoro la forma non esaurisce nella sua univocità la ricchezza della vita interiore, la molteplicità delle possibilità di essere a cui essi con ansia aspirano; di qui il contrasto drammatico tra vita e forma.

4) Spesso è un particolare irrilevante che fa scatenare la presa di coscienza della limitatezza della forma: in questa consiste il sentimento del contrario che è la consapevolezza, acquisita dal personaggio pirandelliano, del contrasto tra la falsità e l'ipocrisia dei ruoli e la complessità, ben più ampia, della vita nelle sue forme più alte. 

Nel fondamentale saggio sull'Umorismo Pirandello, con il famoso esempio della "vecchia imbellettata" distingue il sentimento del contrario (che genera l'Umorismo, un sorriso di compassione), dall'avvertimento del contrario: quest'ultimo consiste in una superficiale valutazione, comune al mediocre senso borghese del contrasto vita-forma in termini di semplice Comicità: una anziana signora che si trucca fa ridere, come suscita ilarità l'atteggiamento del vecchio prof. Toti che convive con la giovane Maddalena (“Pensaci, Giacomino”), proprio perché non si percepiscono le motivazioni profonde dei loro atteggiamenti. 

In questo senso l'arte umoristica va alla ricerca delle cause vere dei nostri comportamenti, al di là delle finzioni sociali o dei travestimenti di comodo. 

Secondo Pirandello, quando l'uomo scopre il contrasto tra la maschera e il volto, tra la "forma" e l'essere, può reagire in tre modi diversi, a seconda del suo temperamento. C'è infatti la reazione passiva, la reazione ironico-umoristica e la reazione drammatica.

La reazione passiva è quella dei più deboli, che si rassegnano alla maschera o alla "forma" che li imprigiona, incapaci di ribellarsi o delusi dopo l'esperienza di una nuova maschera. E' la reazione di Mattia Pascal nell'ultima parte del romanzo. Chi si rassegna, sente la pena del vedersi vivere, come se i suoi atti fossero staccati da sé ed appartenessero ad un'altra persona, e vive perciò col senso doloroso di una frattura tra la vita che vorrebbe vivere e quella che è costretto a vivere.

C'è poi la reazione ironico-umoristica di chi non si rassegna alla maschera, e, visto che non se ne può liberare, sta al giuoco delle parti, ma con un atteggiamento ironico, polemico, aggressivo, "umoristico", in senso pirandelliano, per la pietà che suscita in chi lo osserva nella sua pena. Questo tipo di reazione è rappresentato ne La patente, in Pensaci, Giacomino!, e nel Giuoco delle parti.

C'è infine la reazione drammatica di chi, sopraffatto dall'esasperazione, né si rassegna né riesce a sorridere umoristicamente della vita. Allora egli si chiude in una solitudine disperata, che lo porta al dramma, al suicidio o alla pazzia. Questo tipo di reazione è rappresentato in Uno, nessuno e centomila, nell'Enrico IV e nei Sei personaggi in cerca d'autore.


Teatro

Il binomio realtà-forma applicato al teatro diviene il binomio persona-personaggio: l'attore, uomo precario e labile, diviene fisso ed immutabile quando riveste il ruolo del personaggio; di qui la constatazione pirandelliana che il personaggio (Amleto, Antigone) è sottratto alla precarietà dell'esistenza e fissato da una forma eterna che, contrariamente agli altri ruoli, è spesso alta e nobile; quindi il mondo delle forme teatrali è più vero della vita nella sua falsità (Sei personaggi vivono il dramma di non essere stati compiutamente scritti e vagano in una zona franca sospesi tra l'orrore ed il nulla).

Il teatro nel teatro o metateatro è un artificio teatrale con il quale, all'interno di una rappresentazione, si mette in scena una ulteriore azione teatrale della quale viene dichiarata la natura fittizia. Questo artificio è stato spesso utilizzato per inscenare una breve rappresentazione all'interno di un dramma, con gli attori di quest'ultima che si rivolgono, oltre al pubblico in platea, anche ad un fittizio pubblico, interpretato da alcuni degli attori della compagnia, che prende posto sul palcoscenico.