Cesare Pavese: La luna e i falò

Pubblicato da: Daniela il 20/06/2016

La luna e i falò (1950).

Ultimo romanzo di Pavese scritto nel 1949 e pubblicato nel ’50.

Il protagonista-narratore è un trovatello, soprannominato Anguilla, cresciuto nelle Langhe e allevato da una famiglia di contadini che lavoravano le terre della Gaminella, un podere vicino al Belbo. Egli ritorna ai luoghi dove è vissuto da ragazzo, dall’America dove era emigrato e dove aveva fatto fortuna.

Il romanzo è strutturato in tre tempi:

1° tempo: Anguilla è ritornato alla ricerca del paese-mito, cioè del paese come gli è rimasto dentro, quando l’ha visto per la prima volta da ragazzo. Egli sente il paese come un misterioso legame vitale, come luogo fantastico, in cui ha vissuto un tempo assoluto: un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo. Anguilla è andato in America per poter tornare ed ora avverte il senso del suo "essere cresciuto" del suo essersi fatto uomo, perché nel paese, nulla e tutto è cambiato: sulle colline è passata la guerra, e anche la resistenza ma ancora c’è la miseria più nera, per i dannati che tirano la vita coi denti. Infatti nella cascina in cui Anguilla venne raccolto, quando era ancora un piccolo bastardo, Da Padrino e Virgilia, ora vive Valino un povero contadino che negli eccessi d’ira e di miseria prende a botte la moglie e con lui vive anche un povero figlio storpio, Cinto, che poi si lega d’affetto ad Anguilla. Quindi la guerra e la resistenza non hanno mutato nulla per la povera gente di campagna, tanti morti hanno lottato invano.

2° tempo: è come un intermezzo fatto di nostalgiche rivelazioni del passato. Anguilla ricorda la sua adolescenza alla villa della Mora dove vive il Sor Matteo e le sue tre belle figliole. Una famiglia di agiate condizione economiche, cui Padrino e Virgilia affidarono Anguilla abbandonando la Gaminella, che era un podere troppo povero per mantenere una famiglia.

Delle poche persone che il protagonista conosceva è rimasto solo Nuto il vecchio amico, che allora faceva il suonatore di clarino in tutti i balli e le feste.

E che ora fa il falegname. A Nuto che di tutto vuol darsi ragione e sostiene che il mondo è mal fatto, Pavese affida le sue ansie di rinnovamento sociale e morale della società.

3° tempo: è la parte drammatica che segna la distruzione anche fisica di un mondo. Valino, il nuovo proprietario della cascina spinto dalla sua innata follia e dalla disperazione di vivere, in una notte di luna le dà fuoco, facendo morire i suoi familiari e le bestie. Si salva solo Cinto, il figlio sciancato. L’ultimo nucleo narrativo racconta le vicende delle tre "signorine" della Mora che erano state un tempo le "padroncine" di anguilla verso le quali aveva provato ammirazione e attrattiva. Nuto racconta la loro triste fine. Silvia mal maritata e divorziata vive miseramente a Nizza; Irene, rimasta incinta, è morta per aborto clandestino; Santa la più giovane, la cara bambina di allora, ha creduto di realizzare se stessa, facendo combutta con i repubblichini, e facendo la spia per loro, e per questo uccisa dai partigiani. Al reduce, che cercava nei luoghi della sua infanzia le tracce del suo passato non rimane che accettare l’estraneità al suo paese e, partendo affermare la propria solitudine constatando, che "crescere vuol dire andarsene, invecchiare, veder morire".