Giuseppe Ungaretti: Allegria di naufragi e L'allegria
Allegria di naufragi (1919) e L’allegria (1931)
Il porto sepolto del 1916 fu racchiuso nella raccolta Allegria di naufragi del 1919 e successivamente, a partire dall’edizione del 1931 prese il nome L’Allegria.
Lo studio delle varianti e delle esclusioni è importante perché consente di capire come Ungaretti volesse offrire un’interpretazione della proprio esperienza personale fuori dal tempo, assoluta, in cui il dato biografico, sfrondato e reso essenziale, divenisse emblematico per tutta l’umanità.
Tale ricerca di essenzialità e di purezza della parola, comporta la progressiva eliminazione, nelle singole poesie già pubblicate, dei nessi logici, dei passaggi narrativi e descrittivi.
L’ossimoro (allegria-naufragi) allude alla volontà di ricominciare sempre, dopo ogni fallimento, dopo ogni sconfitta (l’allegria è l’esultanza di quell’attimo che segue il naufragio, l’attimo in cui è stata scongiurata la morte) – vedi affermazione di Ungaretti riferita al titolo Allegria di naufragi da Vita d’un uomo.
Il termine naufragio del titolo allude alla tragedia esistenziale dell’uomo contemporaneo, che ha smarrito la rotta, ha perduto per sempre la possibilità di raggiungere la meta, e che solo nell’improvvisa e illuminante esperienza poetica può intravedere per un istante un frammento della nascosta essenza della realtà.
Il fatto che, nella raccolta successiva, L’allegria, l’autore elimini dal titolo il complemento di specificazione (di naufragi), indica il bisogno di sottolineare, nonostante tutto la volontà di sopravvivenza, una positività vitale sullo sfondo della condizione tragica dell’uomo contemporaneo.
Ossimoro: figura semantica che consiste nell’accostamento di due termini di significato opposto. L’ossimoro si differenzia dall’antitesi in quanto in essa i due termini danno origine a due diversi concetti, ognuno dei quali mantiene una propria autonomia, mentre nell’ossimoro tali termini si fondono in un’unica espressione.
Stile e linguaggio della raccolta:
Il dato più rilevante della raccolta è l’opera di demolizione del verso e della sintassi, parallela allo scavo, alla ricerca di essenzialità della parola.
La novità assoluta è quindi l’uso del versicolo, ossia la parola che, isolata tra due pause, sottolineata dagli “a capo”, viene liberata dal peso dei significati tradizionali e ricaricata semanticamente da echi, polisemie, accostata alle altre mediante puri legami analogici (stile di Mallarmé, in cui la parola poetica si carica di forti istanze evocative e conoscitive).
L’analogia sostituisce ogni legame logico-sintattico, creando sensi nuovi; così i termini sono accumulati nei versi mediante l’asindeto o vere e proprie catene nominali di specificazioni, la cui funzione è quella di togliere valore al verbo, e in essa dominano la paratassi e le strutture nominali, prive di verbo nei modi finiti.
I temi:
L’io è al centro della raccolta. L’io lirico si propone come paradigma di un’esperienza che è sì individuale, ma anche universale, perché come ogni uomo, anche il poeta è naufrago e disperso.
Uno dei temi più importanti è quello del viaggio e dell’uomo naufrago, in balia di un destino che conduce verso la morte. La morte, non il pericolo, è al centro della raccolta, insieme a una natura terribile, perché capace di evidenziare in modo perentorio e doloroso la condizione di fragilità estrema e di precarietà degli uomini, fratelli nella sofferenza.
L’intera raccolta può essere considerata un diario di guerra.
•I fiumi (1916)
•Allegria di naufragi (1917)
•Veglia (1915)
•Fratelli
•Soldati (1918)
•San Martino del Carso (1916)
•Mattina (1917)