La svolta liberale

Pubblicato da: Daniela il 20/06/2016

Il governo Saracco inaugurò una fase di distensione nella vita politica italiana, favorita dal buon andamento dell’economia e dall’atteggiamento del nuovo re, Vittorio Emanuele III, assai più aperto del padre nei confronti delle forze progressiste.

Il governo Saracco dovette dare le dimissioni nel 1901, per il comportamento incerto tenuto in occasione di un grande sciopero a Genova, e si insediò il governo Zanardelli (leader della sinistra liberale) che affidò il ministero degli Interni a Giolitti.

Il ministero Zanardelli-Giolitti condusse importo importanti riforme sul lavoro minorile femminile, con miglioramenti alla legislazione sulle assicurazioni per la vecchiaia e per gli infortuni sul lavoro. Fu costituito, inoltre, un Consiglio superiore del lavoro, organo consultivo per la legislazione sociale, cui partecipavano anche esponenti delle organizzazioni sindacali socialiste.

Giolitti mantenne una linea di rigorosa neutralità nelle vertenze del lavoro, purché non sfociassero in manifestazioni violente.

In questo clima, uscirono dalla clandestinità le organizzazioni sindacali, e il loro sviluppo fu accompagnato da una brusca impennata degli scioperi. Ne derivò una spinta al rialzo dei salari destinata a protrarsi per tutto il primo quindicennio del secolo.

Decollo industriale e progresso civile

Negli ultimi anni del secolo iniziò il decollo industriale italiano, preparato -negli anni precedenti- dalla costruzione di una rete ferroviaria, dalla scelta protezionistica, dal riordinamento del sistema bancario. Lo sviluppo industriale, se non ridusse il divario con i paesi più ricchi, provocò però un aumento del reddito e un miglioramento del tenore di vita degli italiani.

L’aumento demografico, favorito anche da fattori come l’abbassamento del tasso di mortalità infantile, condusse al fenomeno dell’emigrazione (la forza lavoro in agricoltura era nettamente superiore alle necessità del paese). Gli emigranti del nord Italia si indirizzavano soprattutto verso i paesi centrali del nord Europa, con migrazioni temporanee; mentre per la gente del sud avevano carattere permanente verso mete prevalentemente del sud America. Il fenomeno dell’emigrazione contribuì ulteriormente al benessere del paese per via delle rimesse inviate dall’estero che facevano entrare in Italia valute pregiate.

Il progresso economico si fece sentire soprattutto nel nord del paese e il divario tra nord e sud si venne perciò accentuando. La maggior parte delle industrie infatti era dislocata nel nord Italia e anche gli sviluppi dell’agricoltura privilegiarono le grandi aziende della valle padana. Il sud rimaneva in difficoltà, incapace di svilupparsi adeguatamente sia per via delle difficoltà oggettive della terra, sia per mentalità diffuse che ostacolavano il mutamento economico e sociale.