Il trattato di Versailles
La delegazione italiana, guidata da Orlando e Sonnino, si presentò a Versailles con grandi speranze, dettate dal decisivo ruolo che l’Italia aveva avuto nella sconfitta degli imperi-centrali, ma ben presto ci si rese conto che il clima della conferenza di pace non era tra i più favorevoli: i nostri delegati, che si aspettavano, legittimamente, l’applicazione del trattato di Londra del 1915, si scontrarono contro l’ostruzionismo del presidente americano Wilson, poco propenso a riconoscere quanto era stato promesso al nostro paese ed, in particolare, l’annessione della Dalmazia e della città di Fiume, che, nel 1918, si era proclamata italiana.
Di fronte alla fermezza di Wilson, Orlando e Sonnino, sdegnati ed irritati, abbandonarono i lavori, un gesto che ebbe conseguenze disastrose poiché, quando si trattò di decidere le sorti delle colonie tedesche, queste furono spartite tra le altre potenze, mentre l’Italia venne ignorata.
A seguito di questo insuccesso Orlando si dimise e salì al potere Francesco Saverio Nitti.
Il regno di Vittorio Emanuele III si vide riconoscere il Trentino, l’Alto Adige, l’Istria e Trieste, ma non la Dalmazia e Fiume, che sarebbe stata occupata, nel 1919, con un colpo di mano, da una spedizione guidata da D’Annunzio, alla testa dei suoi legionari.