Socialisti e cattolici

Pubblicato da: Daniela il 20/06/2016

Nel partito socialista che si era sempre caratterizzato per la politica di riforme con la collaborazione della borghesia, man mano che si delineavano i limiti del liberalismo giolittiano, si affermò una corrente rivoluzionaria che conquistò la guida del partito.

A seguito dello sciopero generale del 1904 si avvertì l’esigenza di un più stretto coordinamento nazionale che portò nel 1906 alla fondazione della Confederazione generale del lavoro (CGL).

I riformisti riassunsero quindi il controllo, ma conobbero divisioni interne, con la nascita di una tendenza revisionistica sulla linea del laburismo inglese, di un partito dei lavoratori senza connotazioni ideologiche troppo nette e disponibile alla collaborazione con le forze democratico-liberali.

Nel 1912 i rivoluzionari riuscirono a imporre l’espulsione dal Psi dei riformisti di destra che diedero vita al Partito socialista riformista italiano (Leonida Bissolati).

Il Psi tornò nelle mani degli intransigenti, fra i quali venne emergendo la figura di un giovane agitatore romagnolo che si era distinto nelle manifestazioni contro la guerra libica: Benito Mussolini. Egli venne chiamato alla direzione del quotidiano del partito “l’Avanti”, nel quale porto uno stile nuovo basato sull’appello alle masse e sul ricorso di formule agitatorie prese a prestito dal sindacalismo rivoluzionario.

All’inizio del ‘900 nelle file cattoliche si affermò il movimento democratico cristiano (leader Romolo Murri).

I democratici cristiani svolsero un’intensa attività organizzativa e diedero vita alle prime unioni sindacali cattoliche di classe (basate sull’adesione dei soli lavoratori).

Tollerata e incoraggiata da Leone XIII l’azione dei democratici cristiani venne invece duramente osteggiata dal nuovo papa Pio X. Preoccupati dalle tendenze di laicità della forza politica in Francia, il papa e i vescovi favorirono le tendenze clerico-moderate che miravano a far fronte comuni con i partiti d’ordine per bloccare l’avanzata delle sinistre.

Il Patto Gentiloni

La linea clerico-moderata ebbe piena consacrazione alle elezioni del 1913 quando Ottorino Gentiloni, presidente dell’Unione elettorale cattolica, invitò i militanti ad appoggiare quei candidati liberali che si impegnassero, una volta eletti, a rispettare un programma che prevedeva il rispetto dei valori cattolici, quali opposizione al divorzio, tutela delle scuole private e riconoscimento delle organizzazioni sindacali cattoliche. Molti liberali, anche anticlericali, accettarono segretamente tali impegni per assicurarsi i suffragi di un elettorato di massa.

Il patto Gentiloni fu duramente criticato dai democratici cristiani in quanto rappresentò un netta battuta d’arresto per lo sviluppo di un movimento cattolico autonomo.