L'attacco all'Unione Sovietica e l'intervento degli Stati Uniti

Pubblicato da: Daniela il 20/06/2016

All’inizio dell’estate 1941, con l’attacco tedesco all’Unione Sovietica, la guerra entrò in una nuova fase.

Stalin si era illuso che la Germania non avrebbe mai aggredito la Russia prima di aver concluso la partita con l’Inghilterra, così quando il 22 giugno 1941 l’offensiva tedesca (operazione Barbarossa) scattò sul fronte dal Baltico al Mar Nero, i russi furono colti impreparati.

In due settimane le armate del Reich penetrarono in profondità nel territorio sovietico. Mussolini si unì in tutta fretta inviando un corpo di spedizione italiano. L’offensiva si sviluppo con successo a nord attraverso le regioni baltiche e a sud attraverso l’Ucraina, ma l’attacco decisivo a Mosca fu sferrato troppo tardi e il sopraggiungere dell’inverno e del maltempo rallentò il movimento degli automezzi.

La resistenza dell’Urss

In dicembre i sovietici iniziarono una forte controffensiva allontanando la minaccia da Mosca. Hitler, avendo mancato l’obiettivo di mettere fuori causa l’Urss fu costretto a tenere il grosso del suo esercito immobilizzato nelle pianure russe, alle prese con un terribile inverno e una resistenza sempre più accanita.

La guerra lampo si stava trasformando in guerra d’usura, dove la Germania era destinata a perdere il suo vantaggio iniziale.

L’appoggio degli USA alla Gran Bretagna

Gli Stati Uniti allo scoppio della guerra avevano mantenuto una linea di estraneità agli affari europei. Nel 1940 venne rieletto Roosevelt che si impegnò in una politica di aiuti alla Gran Bretagna, rimasta sola a combattere contro la Germania. Nel marzo 1941 fu approvata la legge degli affitti e prestiti che consentiva la fornitura di materiale bellico a condizioni molto favorevoli a quegli Stati la cui difesa fosse considerata vitale per gli interessi americani.

La carta atlantica

Nel 1941 l’incontro tra Roosevelt e Churchill diede alla luce la cosiddetta Carta atlantica: un documento in otto punti in cui si ribadiva la condanna dei regimi fascisti e fissava le linee di un nuovo ordine democratico alla fine del conflitto (una sorta di edizione aggiornata dei quattordici punti di Wilson).

L’espansionismo giapponese

Il Giappone era legato a Germania e Italia dal patto tripartito dal settembre 1940 (Asse Roma-Berlino-Tokyo). Già nel ’37 era impegnato nella conquista della Cina e nel ’41 approfittando della guerra invase l’Indocina francese. Stati Uniti e Gran Bretagna decretarono il blocco delle esportazioni verso il Giappone, che quindi scelse la strada della guerra per conquistare nuovi territori e procurarsi materie prime.

L’attacco a Pearl Harbor e l’offensiva giapponese nel pacifico

Il 7 dicembre 1941 l’aviazione giapponese attaccò la flotta statunitense ancorata a Pearl Harbor, nelle Hawaii e la distrusse in buona parte. 

Nei mesi successivi i giapponesi controllavano le Filippine (strappate agli USA), la Malesia e la Birmania britanniche, l’Indonesia olandese ed erano in grado di minacciare l’Australia e l’India, costringendo la Gran Bretagna a distogliere forza preziose dal Medio Oriente.

Il patto delle nazioni unite

Pochi giorni dopo l’attacco a Pearl Harbor anche Germania e Italia dichiaravano guerra agli Stati Uniti.

Nella conferenza tenutasi a Washington tra il dicembre 1941 e il gennaio 1942 le 26 nazioni in guerra contro Germania, Italia e Giappone (Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna, paesi del Commonwealth -organizzazione di stati che avevano fatto parte dell’impero britannico- e rappresentanti di stati occupati dai tedeschi) sottoscrissero il patto delle “Nazioni Unite”, in cui si impegnavano a tener fede ai principi della Carta atlantica, a combattere le potenze fasciste, a non concludere armistizi o paci separate.