La crisi del positivismo
A partire dalla fine dell’800, il modello interpretativo offerto dal positivismo apparve sempre più inadeguato non solo a spiegare i fenomeni politici, economici e sociali, ma anche a tener dietro all’evoluzione delle scienze. Non fu più accettato come una visione del mondo legata all’idea di un progresso necessario e costante, e si assisté alla nascita di nuove correnti irrazionalistiche e vitalistiche, diverse fra loro ma tutte convergenti nel ricondurre i meccanismi della conoscenza e dell’attività umana a fattori come l’istinto, la volontà o lo slancio vitale, e nel considerare oggetto principale della propria indagine la realtà psicologica.
L’elemento comune delle principali correnti che si affermarono tra ‘800 e ‘900 era costituito da un approccio complesso nei confronti dei procedimenti delle scienze esatte, non più oggetto di quella fiducia illimitata che aveva rappresentato il tratto essenziale della cultura positivistica. Del resto, lo stesso progredire della scienza, contribuiva a mettere in discussione le certezze sulle quali tale cultura si era basata fino ad allora (nascita della fisica atomica, teoria quantistica, teoria della relatività).
Altro elemento comune fu l’attenzione alle motivazioni non razionali della condotta umana. Queste problematiche furono anche alla base degli studi del medico viennese Sigmund Freud fondatore della teoria psicanalitica. (Es: insieme delle pulsioni inconsce e istintive dell’uomo, che spingono al soddisfacimento dei propri bisogni; l’Io: è la parte cosciente della psiche (la vera personalità), quella che adegua l’uomo alla realtà, all’autoconservazione, è la parte dove avviene lo scontro tra le necessità dell’Io e la censura del Super-io, e, a seguito di questo si attivano i meccanismi di difesa e sublimazione; il Super-io: è la coscienza morale, costruitasi a seguito dell’interazione con il mondo esterno (genitori e società)).