La conquista del potere

Pubblicato da: Daniela il 20/06/2016

L’esito delle elezioni del 1921 mise fine al governo Giolitti che si dimise. Il suo successore, l’ex socialista, Ivanoe Bonomi, tentò di far uscire il paese dalla guerra civile favorendo una tregua tra le due parti.

Una tregua teorica si raggiunse nell’agosto 1921 con la firma di un patto di pacificazione tra socialisti e fascisti: consisteva in un impegno generico di rinuncia alla violenza da ambo le parti. I socialisti accettavano di sconfessare le formazioni degli Arditi del popolo, ossia quei gruppi militanti di sinistra che si erano organizzati per contrastare lo squadrismo.

Il patto rientrava nei piani di Mussolini, che temeva una reazione popolare contro lo squadrismo, mentre invece non fu condiviso dai fascisti intransigenti che si riconoscevano nello squadrismo agrario (cosiddetti Ras) che sabotarono il patto e misero in discussione la leadership di Mussolini.

Ai primi di novembre, il congresso dei Fasci, risanò le rotture siccome Mussolini si rese conto di non poter fare a meno della massa d’urto dello squadrismo agrario e sconfessò il patto di pacificazione. I Ras riconobbero la guida politica di Mussolini e accettarono la loro trasformazione in partito pur sapendo che la cosa avrebbe limitato la loro libertà d’azione. Nasceva così il Partito nazionale fascista (Pnf).

Il governo Bonomi cadde all’inizio del 1922 e fu chiamato al governo Luigi Facta, giolittiano. Con la costituzione del nuovo ministero l’agonia dello Stato Liberale entrò nella sua fase culminante. La scarsa autorità politica del governo finì per dare ulteriore spazio alla violenza squadrista, con operazioni sempre più ampie e clamorose.

A questa offensiva sia violenta, sia parlamentare del fascismo, i socialisti non seppero opporre risposte efficaci. Inutile perché tardiva, fu la decisione della parte riformista del Psi di ribellarsi alla linea intransigente e coalizzarsi con la parte democratica.

Disastrosa fu la decisione di proclamare il 1° agosto uno sciopero generale legalitario in difesa delle libertà costituzionali: i fascisti lanciarono una nuova offensiva contro il movimento operaio che uscì da questa prova materialmente e moralmente distrutto.

L’unica conseguenza di questa ribellione fu quella di un’ulteriore scissione, i riformisti guidati da Turati abbandonavano il Psi e fondarono il Psu Partito socialista unitario. Una volta messo da parte il movimento socialista, il fascismo ritenne indispensabile accelerare la sua ascesa al potere, per timore che le forze moderate che fino ad allora avevano appoggiato il loro operato, ritenessero ormai esaurito il ruolo.

Mussolini trattò con gli esponenti liberali in vista della partecipazione fascista a un nuovo governo, si guadagno il favore degli industriali assicurando spazio all’iniziativa privata e rassicurò la monarchia sconfessando le passate simpatie repubblicane. Intanto l’apparato militare del fascismo si preparava al colpo di Stato.

Mussolini non credeva molto nella riuscita dell’azione militare, ma puntava sulla pressione politica su un governo in disfacimento. Il 27 ottobre 1922 fu il giorno fissato per la mobilitazione. Le forze fasciste furono sostenute dal re Vittorio Emanuele III che rifiutò di firmare la proclamazione dello stato d’assedio, pertanto i poteri non passarono alle autorità militari, e quindi il rifiuto del re aprì alle camicie nere la strada di Roma (Marcia su Roma - 28 ottobre 1922).

Forte della resa, Mussolini chiese ed ottenne il comando del governo.

Il nuovo governo comprendeva fascisti, liberali giolittiani, liberali di destra, democratici e popolari. I fascisti gridarono al trionfo di una rivoluzione che di fatto era solo simulata.

Per molti la situazione era sostanzialmente quella di prima, e pochi capirono che il sistema liberale aveva ricevuto un colpo mortale.