La politica economica
Nei primi anni il fascismo adottò una linea liberista. Questa politica provocò però insieme all’incremento produttivo, un riaccendersi dell’inflazione e un forte deterioramento della lira. Nell’estate 1925 si cambiò linea e si passò al protezionismo e a un accentuato intervento statale nell’economia.
La battaglia del grano, iniziata nel 1925 e protrattasi lungo tutto il corso del regime, aveva come scopo il raggiungimento dell’autosufficienza nel settore dei cereali, con lo sviluppo delle industrie produttrici di concimi e macchine agricole.
La crisi del ’29 si fece sentire anche in Italia, anche se in misura minore, grazie agli interventi protezionistici attuati negli anni precedenti. La risposta alla crisi si attuò su due direttrici fondamentali: lo sviluppo dei lavori pubblici come strumento per rilanciare la produzione e attutire le tensioni sociali e l’intervento diretto o indiretto dello Stato a sostegno dei settori in crisi.
Fu avviato un processo di ristrutturazione della capitale e di bonifica delle zone malariche delle paludi pontine, grazie al quale vennero recuperati terreni per le colture e che rappresentò un grade successo propagandistico.
Lo stato intervenne anche nel salvataggio delle banche, creando un istituto di credito pubblico, Istituto mobiliare italiano (IMI) col compito di sostituire le banche nel sostegno delle industrie in crisi e dando vita due anni dopo (1933) all’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) che arrivò ad avere il controllo di alcune fra le maggiori imprese italiane, rendendo lo Stato sia imprenditore che banchiere.