I gioverni Giolitti
Primo Governo Giolitti (1892-1893)
Corrisponde alla prima vera disfatta del governo Crispi. Tale governo durò fino alla fine del 1893 quando Giolitti fu costretto a dimettersi. Tra le cause: il suo rifiuto nell’intervenire con la forza nelle proteste che attraversavano il paese; le voci che lo indicavano come propositore di una tassa progressiva sul reddito e lo scandalo della Banca Romana che gli valse le accuse di aver coperto irregolarità fiscali. Ritorna al governo Crispi, governo che terminerà definitivamente nel 1896 con la sconfitta della battaglia di Adua.
Secondo Governo Giolitti (1903-1905)
A seguito delle dimissioni di Zanardelli, venne chiamato al governo Giolitti. Egli continuò la linea liberale-progressista avviata dal precedente ministero, e propose, inoltre, al socialista Filippo Turati di entrare nel suo governo in qualità di ministro. Egli rifiutò con la convinzione che il partito socialista non avrebbe visto di buon occhio la sua partecipazione ad un governo liberale borghese, ma appoggiò dall’esterno l’operato di Giolitti.
Giolitti costituì un governo spostato al centro e aperto alla partecipazione di elementi conservatori (caratteristica giolittiana fu proprio l’attenzione a mantenere solidi gli equilibri parlamentari).
Tra le importanti riforme di questo periodo troviamo le leggi speciali per il mezzogiorno (1904) volte a incoraggiare la modernizzazione dell’agricoltura e dell’industria. Esse avevano il limite di incidere limitatamente sulla delicata situazione del mezzogiorno, curando più i sintomi che le vere cause.
Un altro importante progetto fu la statalizzazione delle ferrovie che però incontrò diffuse opposizioni sia a destra sia a sinistra, i socialisti infatti lo avversarono perché avrebbe previsto il divieto di sciopero dei ferrovieri una volta diventati dipendenti pubblici.
Di fronte a questa difficoltà Giolitti si dimise, lasciando la guida del governo ad Alessandro Fortis.
Questa fu una tattica che adottò anche successivamente: abbandonare la guida del governo nei momenti più difficili per poi riprenderla in condizioni più favorevoli. Dopo Fortis e una breve parentesi che vide Sidney Sonnino al governo, tornò Giolitti.
Terzo Governo Giolitti (1906-1909)
Giolitti tornò alla guida del governo per tre anni. Attuò la cosiddetta conversione della rendita, abbassando il tasso di interesse dei titoli statali, alleggerendo così gli oneri gravanti sul bilancio. L’operazione si rivelò un successo, in quanto pochissimi creditori chiesero il rimborso delle somme versate: fu un segno di evidente fiducia nella finanza pubblica da parte dei risparmiatori.
Nel 1907 il periodo favorevole (che durava dal 1896) ebbe una crisi quando anche in Italia si manifestarono i sintomi di una crisi internazionale. La crisi fu superata in tempi brevi anche grazie all’intervento della Banca d’Italia. Ma le lotte sociali conobbero un brusco inasprimento e l’atteggiamento degli industriali si fece più duro nei confronti della controparte operaia (fondazione di Confindustria 1910). La situazione contribuì a frenare l’azione riformatrice del governo.
Nel 1909 Giolitti attuò una nuova ritirata strategica aprendo la strada al secondo governo Sonnino, destinato a vita breve e a un successivo governo Luzzatti (legge Daneo-Credaro che assegnava allo Stato l’onere dell’istruzione elementare).
Quarto Governo Giolitti (1911-1914)
Nel 1911 tornò al governo con un programma orientato a sinistra, con l’intento di istituire il suffragio universale maschile (ormai in vigore in buona parte dei paesi europei), e col progetto di un monopolio statale delle assicurazioni sulla vita per finanziare il fondo per le pensioni di invalidità e vecchiaia dei lavoratori.
Nuove spinte nazionaliste portarono alla guerra di Libia. Tale scontro si rivelò più difficile del previsto, e, nonostante la vittoria, la conquista della Libia non portò grandi benefici, in considerazione anche delle grandi quantità di denaro investite nel conflitto.
Questa situazione radicalizzò i contrasti politici, favorendo il rafforzamento delle ali estreme e scuotendo, quindi, gli equilibri sui quali si reggeva il sistema giolittiano.
Nel maggio 1914 Giolitti rassegnò le dimissioni indicando come suo successore Antonio Salandra della destra liberale. Incoraggiò quindi un’esperienza di governo conservatore, con l’obiettivo di lasciarla logorare e tornare poi al potere a capo di un ministero orientato a sinistra.
La situazione era però profondamente cambiata dopo la guerra in Libia, aveva radicalizzato i contrasti politici e anche la situazione economica si era nuovamente deteriorata.
Un sintomo di questo clima fu la cosiddetta settimana rossa del giugno 1914.
La morte di tre dimostranti contro la forza pubblica in una manifestazione antimilitarista provocò scioperi e agitazioni in tutto il paese. La protesta guidata da anarchici e repubblicani, ma anche dai socialisti rivoluzionari di Mussolini assunse un carattere apertamente insurrezionale. Essendo però priva di qualunque sbocco concreto, si esaurì in pochi giorni. Rafforzò però la tendenza conservatrice della classe dirigente spaventata da un possibile ritorno di movimenti sovversivi e accentuò le fratture all’interno del movimento operaio.
La strategia giolittiana di mediazione parlamentare diventò inattuabile in seno a queste tensioni sociali e all’inasprimento dei conflitti politici, rendendo irreversibile la crisi del giolittismo.
Nel frattempo ci fu l’inizio del conflitto mondiale e l’attenzione venne indirizzata in tale direzione.