Verso lo statuto autoritario

Pubblicato da: Daniela il 20/06/2016

Una volta al potere Mussolini alternava promesse di normalizzazione moderata a minacce di una seconda ondata rivoluzionaria, questo fu permesso anche dalla miopia di liberali e cattolici che lo appoggiarono anche quando fu evidente che il partito fascista prendeva una piega incompatibile coi principi liberali.

Nel dicembre 1922 fu istituito il Gran consiglio del fascismo che aveva il compito di indicare le linee generali della politica fascista e servire da raccordo tra partito e governo. Le squadre fasciste vennero inoltre inquadrate nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale: un corpo armato di partito.

Le violenze illegali contro gli oppositori continuavano, affiancate alla repressione legale condotta dalla magistratura e dagli organi di polizia mediante sequestri di giornali, scioglimenti di amministrazioni locali, arresti preventivi di militanti. Le conseguenze su ciò che rimaneva del movimento operaio furono disastrose. Anche i salari tornarono ad abbassarsi progressivamente, e si restituì libertà d’azione e margini di profitto all’iniziativa privata. Venne alleggerito il carico fiscale sulle imprese, privatizzato il servizio telefonico, sfoltimento dei dipendenti pubblici (ferrovieri). Il bilancio dello Stato tornò in pareggio, questo era in buona parte il risultato dell’opera dei precedenti ministeri liberali, ma valse ugualmente a rafforzare il governo e rinsaldare i legami fra potere economico e fascismo.

Un altro sostegno decisivo Mussolini lo ebbe dalla Chiesa dal nuovo Papa Pio XI (tendenze più conservatrici della Chiesa). Per i cattolici il fascismo aveva i meriti di allontanare una possibile rivoluzione socialista e di aver restaurato il principio di autorità. Inoltre, Mussolini, abbandonato i toni anticlericali si mostrò disposto a importanti concessioni.

La riforma scolastica del 1923 prevedeva l’insegnamento della religione nelle scuole elementari e l’introduzione di un esame di stato al termine di ogni ciclo di studio.

La prima vittima di questo avvicinamento fu il Partito popolare, considerato dalle gerarchie ecclesiastiche un ostacolo sulla via del miglioramento dei rapporti con lo Stato. Nell’aprile 1923 Mussolini impose le dimissioni dei ministri popolari.

Liberatosi del più forte e scomodo fra i suoi alleati di governo, Mussolini aveva il problema di rafforzare la sua maggioranza parlamentare, sanzionando al tempo stesso la posizione di preminenza del fascismo.

Venne quindi istituita una legge elettorale maggioritaria che avvantaggiava la maggioranza relativa (25% dei voti) assegnandole due terzi di seggi.

Quando la camera fu sciolta molti esponenti liberali (Orlando e Salandra compresi) si candidarono insieme ai fascisti nelle liste nazionali presentate in tutti i collegi col simbolo del fascio. Si riformava il blocco delle elezioni del ’21 ma a parti invertite. Le forze antifasciste erano profondamente divise: i due partiti socialisti, i comunisti, i popolari, i liberali d’opposizione di Giovanni Amendola e gli altri partiti minori.

La vittoria fascista fu scontata ottenendo il 65% dei voti e più di tre quarti dei seggi.

A poco più di due mesi dalle elezioni un evento tragico mutò bruscamente lo scenario. Il 10 giugno 1924 il deputato Giacomo Matteotti del Partito socialista unitario fu rapito e ucciso a coltellate. Matteotti aveva pronunciato una durissima requisitoria contro il fascismo denunciandone le violenze e contestando la validità dei risultati elettorali.

Ci fu un’ondata di indignazione contro il fascismo e il suo capo. Il paese capì che il delitto era il risultato di una pratica ormai consolidata di violenze e impunità. Il fascismo, che fino a pochi giorni prima era parso inattaccabile, si trovò improvvisamente isolato.

L’opposizione non aveva però possibilità di mettere in minoranza il governo e nemmeno di affrontare una prova di forza sul piano della mobilitazione di piazza. L’unica iniziativa fu quella di astenersi dai lavori parlamentari finché non fosse stata ripristinata la legalità democratica. La secessione dell’Aventino aveva un indubbio significato ideale, ma era di per sé priva di qualsiasi efficacia pratica. Puntarono su una questione morale sperando in un intervento del re o in uno sfaldamento della maggioranza fascista. Nessuna delle due cose avvenne.

Nel giro di pochi mesi l’ondata antifascista refluì e Mussolini ruppe ogni cautela legalitaria (1925) con un discorso alla camera in cui dichiarò chiusa la questione morale e minacciò apertamente di usare la forza contro le opposizioni. Nei giorni successivi un’ondata di arresti di abbattè sui partiti di opposizione e sui loro organi di stampa.

Il fascismo portava a compimento l’occupazione dello Stato e chiudeva ogni residuo spazio di libertà politica e sindacale.

Gli organi di stampa antifascisti furono messi a tacere, aggressioni squadriste si conclusero con la morte di alcuni esponenti di tali partiti (Amendola e Gobetti).

I quotidiani di informazione furono fascistizzati mediante pressioni sui proprietari. 

Nell’ottobre ’25 il sindacalismo libero ricevette un colpo mortale dal patto di Palazzo Vidoni, con cui Confindustria si impegnava a riconoscere la rappresentanza dei lavoratori ai soli sindacati fascisti.

Eliminate le voci di opposizione venne preparata una legislazione che stravolgeva definitivamente i connotati dello Stato liberale.

La prima importante legge del regime fu quella che rafforzava i poteri del capo del governo sia rispetto agli altri ministri sia rispetto al parlamento; nel ’26 una legge sindacale proibì lo sciopero e stabilì che solo i sindacati legalmente riconosciuti (quelli fascisti) avevano il diritto di stipulare contratti collettivi.

Infine nel novembre ’26, l’ennesimo attentato alla vita di Mussolini diede il via a una raffica di provvedimenti repressivi: sciolti tutti i partiti antifascisti e soppresse tutte le pubblicazioni contrarie al regime, dichiarati decaduti dal mandato i deputati aventiniani, reintrodotta la pena di morte per i colpevoli di reati contro la sicurezza dello Stato per cui fu istituito un Tribunale speciale per la difesa dello Stato composto non da giudici, ma da ufficiali delle forze armate e della Milizia.

La costruzione del regime sarebbe stata completata successivamente: con la legge elettorale del 1928 che introduceva il sistema della lista unica e lasciava agli elettori solo la scelta se approvarla o respingerla in blocco; e con la costituzionalizzazione del Gran consiglio che sempre nel ’28 diventò un organo dello Stato, dotato di prerogative molto importanti, fra cui quella di preparare le liste elettorali. 

Già le leggi fascistissime del ’26 avevano messo fine allo Stato liberale nato con l’unità d’Italia e dato vita a un nuovo regime a partito unico in cui la separazione dei poteri era stata abolita e tutto era nelle mani di un unico uomo. Un regime che si differenziava dagli antichi sistemi assolutistici perché non si accontentava di reprimere e controllare le masse, ma pretendeva di inquadrarle in proprie organizzazioni.